
Prendiamo il libro degli appunti del Trial, apriamo la prima pagina e iniziamo a disegnare il futuro. Un futuro utopico, un mondo parallelo in stile Interstellar: il posto dei sogni.
Dove andrà a finire il nostro amato sport? Quante aziende vorranno investire ancora? Le federazioni ce la faranno ad aver budget decenti abbastanza per garantire un adeguato svolgimento delle attività?
Proviamo ad uscire completamente dagli schemi e ad immaginare nuove soluzioni. Robe assurde, quasi da Playstation.
Per prima cosa osserviamo l’organizzazione e la presenza dei Team e delle squadre nazionali attuali. Che vantaggi ha uno sponsor, estraneo al settore, ad entrare nel circo Trial se poi il suo marchio si vede su qualche pettorale, striscione o sul ginocchio della tuta da gara?
La comunicazione viaggia a mille all’ora e noi siamo rimasti al “Ti metto un bel logo qui”. Ma chi li vuole vedere?
E se facessimo come nel ciclismo?
Non che in questo sport ci sia esuberanza di sponsor e budget, ma il Trial al momento può solamente prendere spunto da questo ambiente. Che cosa centrano un’azienda di rubinetti e una di cucine con il campione del mondo di ciclismo? Nulla, ma quando unisci tutte queste cose, le pettini per bene e ci crei un bel progetto, va a finire che per il sottoscritto e molti altri la Bora è la miglior azienda al mondo per quanto riguarda le cucine e Hansgrohe per i rubinetti. Queste non sono cose che decidiamo per nostra volontà, ma è solamente un processo del nostro cervello che in modo superficiale associa queste due aziende ad alcuni valori e immagini che si rispecchiano in Peter Sagan. Ah, se mai dovrò farmi una casa so per certo che cucina e doccia saranno Bora e Hansgrohe. Il consumo dei nostri tempi è colmo di valenze simboliche e dunque le aziende che stanno al passo con i tempi sanno come comportarsi. A volte la ragione va per la tangente e dunque agiamo per emozioni.
Mettiamoci nei panni di un’azienda non del settore a cui interessi investire nel Trial. La passione per lo sport è chiaramente una prerogativa fondamentale che porta aziende e imprenditori ad investire, ma per portarle dentro al proprio progetto bisogna dare molto più che uno spazio stampato, un banner online o degli ambassadors, aka “I poser sportivi”. Tralasciando Toni Bou, già ben supportato da Honda-Repsol, immaginatevi Jaime Busto gareggiare per la Red Bull invece che per l’azienda Gas Gas, Adam Raga per la Coca-Cola, Fajardo per la Bora o nella più bella delle ipotesi il nostro Grattarola che indossa la tutina del “Mc Donalds Racing Team”. Pura immaginazione casuale, ma tutto ciò può rendere l’idea dell’immagine che si può creare dietro a questi personaggi. Aziende che prendono in mano a livello economico e decisionale gli atleti, guidati da allenatori che dovranno avere si qualità tecniche, ma anche manageriali. Per le aziende di settore ci sarebbero meno problematiche e più possibilità mediatiche e di immagine. E poi si potrebbero aprire le porte anche al potere d’acquisto di Medio Oriente e Cina. “L’atleta della Bahrain-TRRS ha vinto la prova mondiale in Italia”.
Lasciando da parte tutto il nostro nazionalismo, per un’azienda suonerebbe meglio no?
Il calendario non può non prescindere dalle classiche prove mondiali e così via. La tradizione che funziona non si tocca. Per il resto ci vorrebbero più dirette televisive per dar la possibilità a tutti di fare aperitivo a casa con gli amici, con la TV accesa sulla gara. Abbiamo bisogno di prove di velocità? Può darsi, ma lo spettacolo non passa da queste formule.
In questo senso mi piace citare il parallelo con lo sci che trovo molto vicino alla nostra specialità per tecnica e difficoltà. Cito ad esempio Bode Miller che disse, essendo lo sci uno sport estremo (anche il Trial), c’è bisogno di palcoscenici adatti: “Piste difficili, veloci, con passaggi tecnici spettacolari. Piste dove gli atleti possono fare la differenza”. La gente ama Kitz perché è pericolosa, ama Groden perché c’è un salto di 70 metri, Wengen perché è più lunga di una tappa del Tour de France e si passa fra rocce e sotto ad un treno.
Così anche il Trial dovrebbe avere delle super classiche spettacolari, Andorra con le sue pendenze, Baiona con la scogliera vista mare e da noi i salitoni di Foppolo o le rocce alpine di Cervinia. Questo è lo spettacolo!
E poi ci sarebbe il Trial delle Nazioni dove tornerebbero in gioco le Nazionali.
A proposito, ma perché il campione nazionale non è identificabile visivamente nel mondo dello Trial? Pensiamo alla nostra nazione: basterebbe riempire la tuta da gara di Matteo Grattarola con del verde, bianco e rosso, qualche tricolore sul casco e cose simili. Bisogna farle notare queste cose ai trialisti che incontrano gli atleti nei luoghi di allenamento: “Quello è il Campione Italiano!” dovrebbero esclamare nel vederlo, invece che avvicinarsi per chiedergli che tipo di gare faccia.
Le aziende dovrebbero regolarsi di conseguenza creando caschi, abbigliamento, tute, guanti dedicati al Campione del Mondo, Austriaco, Italiano, Francese e così via. La gente vuole Limited Edition, non quello che hanno tutti. Non siamo negli anni ’90, ormai i consumatori hanno una possibilità di scelta enorme e dovrebbero essere stuzzicati ad ogni appuntamento di Campionato del Mondo con qualcosa di nuovo e fresco. Fatevi una cultura sulla Red Hook Criterium nel mondo ciclistico o guardate che tipo di evento è Kona per le aziende. Vorrei vedere Toni Bou al via del X-Trial con un outfit oro, dalla testa fino ai piedi, sono sicuro che anche mia nonna capirebbe che sia lui il campione del mondo in carica. Prendete come esempio il belga Greg Van Avermaet, dopo Rio 2016 ha fatto un bagno nell’oro: Maestoso.
Altro punto superficiale ma interessante che finalmente comincia a prendere corpo: basta pettorali numerati ad ogni gara, introduciamo i numeri fissi come in Moto GP e Formula 1. È ovvio che le problematiche nell’assegnazione e nella scelta sono molte, ma sarebbe bellissimo poter associare i trialisti ad un numero. TB1, JB69, MG12, AR67 che assomigliano un po’ a CR7 o VR46. Sono le tamarrate di questo genere che fanno impazzire le folle!
E i campionati “giovanili” come sarebbero strutturati? I Moto Club devono essere per forza il bacino da cui attingere. È ovvio che a livello strutturale sarebbe il problema più delicato da risolvere. Una cosa è certa, per alzare l’età di abbandono basterebbe fare una cosa semplice: sostenere maggiormente l’attività delle Scuole che sono il cuore della promozione e formazione di una disciplina sportiva. Questo potrebbe già mantenere l’ambiente agonistico giovanile un po’ più vivo.
Questi sono alcuni spunti casuali per un mondo utopico più interessante e attivo. Ci vediamo a Budapest X-Trial per vedere il solito film e le solite grafiche sulle tute da gara.
Articolo scritto da Solowattaggio ed opportunamente adattato da me alla disciplina Trial.
Andrea Buschi